giovedì 10 maggio 2007

Crema di Marocco

La metro di Berlino ha 18 linee, altrettanti snodi di interscambio maggiori e una miriade di punti di contatto tra due o tre percorsi. La fermata dello Zoologischer Garten, quella alle porte del famoso zoo della città, ritrovo di tossici, pusher e puttanelle, è un crocevia per ben quattordici binari che si tagliano tra loro reciprocamente. Non è da meno la fermata di Alexander Platz, dove due statue di Marx ed Engels, nel ricordo e rispetto di un vicino passato ormai desueto e fallito, si lanciano verso il cielo citato da Wenders.
Se nella ovvia vita quotidiana il metodo che applichiamo nel compiere i nostri gesti è quello del risparmio, in linea puramente teorica potremmo partire da una fermata e giungere in un'altra secondo numerosi percorsi alternativi, non necessariamente più brevi. Così come sarebbe possibile saltare su un treno qualsiasi, sulla linea arancione per esempio, e prendere alla rinfusa differenti metro: cambiare sempre, colori differenti, direzioni opposte, senza un ordine preciso, senza soprattutto un fine. Ci si starebbe prendendo gioco del destino, che pignolo tesse la tela della nostra vita. Si aprirebbero possibilità nuove: nuove persone e nuovi volti, nuovi luoghi, tutto si incastrerebbe secondo una nuova inclinazione o eventi in divenire si dissolverebbero prima di essersi ancora realizzati.
Con lo stesso improbabile approccio, Davide, saltando da un sito all’altro attraverso il meccanismo dei link, prendendosi gioco di chi, per lavoro, costruisce sofisticati algoritmi per guidare la navigazione veloce sul web, arrivò al blog di Maurizio Ferraris.
|Ontologia del telefonino|
Iniziò a leggere e si appassionò. Decise allora di fumarsi una canna. Aprì il primo cassetto e prese tutto l’occorrente: dopo qualche minuto era di nuovo alla lettura del blog.
Maurizio Ferraris è un professore di filosofia dell’università di Torino e nel suo sito v’erano stralci di un suo libro.
Immaginiamo uno che ci chiami su un telefono fisso e ci chieda: “Dove sei?”. La risposta sarebbe stupida e scontata: “Dove vuoi che sia? Sono lì, dove mi chiami”. Con il telefonino, è tutto un altro paio di maniche, si incomincia proprio chiedendo: “Dove sei?”, visto che l’interlocutore può essere dappertutto. Magari non ci si fa troppo caso, tanto si è ciechi rispetto al mondo in cui si vive. A questo punto, chiedersi che tipo di oggetto è un telefonino (“ontologia” vuol dire questo), diventa interessante.
Dopo aver letto diversi estratti era chiaro a Davide l’intento di Maurizio Ferraris di mostrare i paradossi in cui le persone si trovano coinvolti grazie all’uso del cellulare e di sottolinearne tutti gli aspetti negativi. L’essere potenzialmente sotto perenne controllo, il dover giustificare la mancata risposta, quando questa, riferita al telefono fisso, significava semplicemente non presenza in quel determinato luogo.
Più leggeva e più Davide si conviceva di aver ragione.
Aveva discusso milioni di volte con Teresa per il fatto che il proprio telefonino fosse “sempre” spento, irraggiungibile o quant’altro. Ma non lo faceva in maniera mirata: era dimenticanza o inconscia voglia di momenti di solitudine, non certo indifferenza.
Guardò l’orologio, erano le 14,47. Fece l’ultimo tiro dalla canna e la spense, poi pensò che forse era ora di accendere il telefonino.
86 secondi più tardi gli arrivò un messaggio. In realtà risaliva a qualche ore prima.
Ho pensato molto a noi.
So quello ke voglio...
tu invece???
Fece una smorfia di disappunto e spense nuovamente il cellulare.


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