lunedì 15 settembre 2008

Charas

C’erano stati insieme qualche tempo prima, quando la andò a tovare durante il suo Erasmus, e lui non poteva immaginare che quel posto si sarebbe ripresentato nei loro discorsi a tre anni di distanza.
Aveva uno splendido ricordo di quella città: costruita su una collina, i suoi vicoli scendevano da nord verso il fiume Douro, con loro la pioggia scorreva verso il basso per congiungersi con l’acqua madre, quella del fiume, quella dell’oceano. Salite e poi discese, traverse fitte, e poi dietro l’angolo scorci meravigliosi: la facciata di una chiesa risplendente del celeste degli azulejos o la cattedrale o l’università o una frase di Pessoa scritta malamente su di un muro.
Nao sou nada. Nunca serei nada. Nao posso querer ser nada. A parte isso, tenho em mim todos os sonhos do mundo.
E quello che sentiva Davide dentro di sé nel momento in cui, girato l’angolo, lesse la scritta sul muro: sulle orme del poeta fingitore avvertiva alla bocca dello stomaco un’energia vibrante, come un diapason costantemente scosso, tutti i sogni del mondo racchiusi nell’ingenuità di chi ha voglia di cambiarlo.
“Io parto…” riuscì a dire a malapena Teresa ora che finalmente avevano trovato dentro se stessi il coraggio per vedersi.
Il fratello di Davide aveva una bottiglieria e lì, per trovare un po’ di pace, si videro.
Nella penombra. A bassa temperatura.
E nella penombra e a bassa temperatura lei esordì così.
Io parto e d’un tratto tutti i sogni del mondo scomparvero.
“Dove…dove vai?”
“In Portogallo”
Ma quella risposta voleva dire solo una cosa: O-Porto. Non c’era altra città portoghese dove lei potesse scappare. E Davide lo sapeva benissimo. In quel momento però non riusciva a coglierne il senso, non ne capiva il perché, non capiva cosa c’entrasse quella maledetta città in quel dannato periodo della sua vita.
Rimase in silenzio per qualche minuto. C’era qualcosa che stava cambiando, c’era qualcosa che gli sfuggiva tra le mani. Prese il charas e fece una canna. Aveva bisogno di riflettere, ma pensieri, ricordi, emozioni si accavallavano e lui non riusciva ad essere lucido.
“Stai scappando…” le disse, forse domandandolo a se stesso.
Ci fu una pausa: il silenzio e le lacrime scandivano il tempo che separò la domanda alla risposta.
“Forse…ma è quello che sento…ho già deciso…ho già prenotato.”
Anche Davide iniziò a piangere. Tutti i sogni del mondo si erano spenti. Ora non riusciva a capire più nulla. Solo avvertiva dentro di sé una paura enorme: temeva di non rivederla mai più.
E questa paura le comunicò, sperando che lei ne facesse tesoro.
Ma ormai erano lontani: distanti nei luoghi, se non ancora fisicamente in maniera proiettiva; nei tempi e nel modo di viverli ed interpretarli; probabilmente erano distanti anche nei sentimenti.
Eppure piansero insieme, come fossero un’unica cosa.
Piansero insieme come solo loro due sapevano fare.
Piansero insieme e si baciarono.
Un solo bacio, intenso come l’amore stesso.
Fu l’ultimo, poi lei andò via dicendo semplicemente Ciao.