lunedì 21 aprile 2008

Big Bud

Tante mensole con libri letti o sfogliati, dalle pagine ingiallite o candide come la neve solo immaginata. Tanti frontespizi, affiancati in un disordine calmo. Diversi nelle misure, nei colori, negli stili, con titoli che da lontano non riescono a stimolare efficacemente la retina. Tra loro, quei libri, c’era un lettura adolescenziale: Stephen King. A volte ritornano.
Anche lei tornò. Tornò a tormentare: stridula, fastidiosa, insistente, nauseante ai visceri.
Chi sei?
E con essa pensieri, paure, riflessioni, considerazioni.
Sul futuro, quello futuribile, lontano dalle sognanti proiezioni d’infanzia in cui uno desidera conquistare le stelle, levitare nell’universo, osservare il mondo stringendolo virtualmente, grazie al dono della prospettiva, tra l’indice ed il pollice della propria mano.
Pensava al domani e nel frattempo fumava Big Bud. Il presente le scorreva sotto il naso e lei riusciva a percepirlo perfettamente. Non riusciva a dare una risposta a quella domanda. Non le era chiaro cosa voleva, cosa potesse desiderare e augurarsi. Si domandava domani dove voleva che fosse. Più volte il pensiero di Davide incrociò gli altri, a volte incastrandosi quasi sorprendentemente con le immagini che la parte nascosta di Teresa riusciva a visualizzare. In altre proiezioni invece, Davide semplicemente non era previsto. In maniera automatica. Per default. Come se il suo inconscio biologico cogliesse dei frame di vita futura, flash-forward di esperienze in cui altre figure dominavano la scena. Come se una Cassandra albergasse in lei.
Cassandra perché quelle visioni erano in contrasto con il suo presente e quindi interpretate come sogni, fantasie, ripudiate alla ragione, eretici pensieri a cui Teresa non credeva.
Non ancora…
Il tempo continuava a scorrere. La canna di Big Bud a estinguersi. La sua mente ad aprirsi.
Non era il suo rapporto con Davide ad essere in crisi. Era lei. Non era Davide, non il sentimento che continuava a provare per lui / ma poteva giurarlo !?!
Ripensò al messaggio che gli aveva mandato: so quello che voglio
Ci pensò. Un sorriso amaro le inarcò gli angoli della bocca.
Non era vero. Non lo sapeva affatto.
Eppure lui non c’entrava niente.
Era lei che aveva bisogno di mettersi in gioco, in discussione, doveva capire, doveva crescere…
Te-re-sa.
O-por-to.
Sei lettere, tre sillabe.
Doveva tornare in quel posto. Doveva tornare all’origine.


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