venerdì 8 giugno 2007

Crema di Marocco | due

Quando pensiamo, lo facciamo nella nostra lingua madre. Utilizziamo parole. Accenniamo discorsi o discutiamo con noi stessi. Una specie di dialogo, domanda e risposta, ha luogo nella nostra mente, lì dove, paradossalmente, lo sdoppiamento è diagnosticato come patologico.
Non pensiamo per immagini o per suoni. Ragioniamo con l’uso delle parole: il pensabile e il dicibile coincidono.
Per una persona estrememente attaccata al linguaggio, alla ricerca del termine più appropriato, sempre intento a dare un nome corretto alle cose, che ancora conosce la differenza tra proiettile e proietto, per una persona che quindi distingue i concetti che sottendono le parole e le frasi e i discorsi, scoprire che questi nascondono delle insidie diventa devastante. Le crepe del linguaggio diventano ferite della mente, squarci nell’animo da cui sgorga ignoranza, avvizzimento, grigiume, morte.
Piove. Questa rappresenta una proposizione elementare: la sua veridicità è messa in discussione da ciò che accade realmente. Per continuare ad essera vera, la pioggia dovrebbe davvero bagnare l’asfalto. In altre parole presenta forte aderenza con la realtà. In altro caso è falsa.
Esistono poi quelle che Wittgeinstein chiama tautologie. Piove o non piove ne è un esempio. Qualsiasi cosa accada quella proposizione resta vera, mai smentibile, falsa in nessun caso. Per contro non esprime nulla: parole al vento, nessun concetto, nessun pensiero.
Il pensabile e il dicibile divergono.
Potrei avere bisogno di tempo. Era una tatutologia e Davide lo sapeva. In realtà Teresa non aveva espresso nulla, non gli aveva comunicato le sue intenzioni. Sembrava una frase buttata lì a roteare nello spazio vuoto creato dalle loro parole dure. Avevano discusso. Di nuovo. Più volte. Davide aveva acceso finalmente il telefonino e l’aveva chiamata. Doveva chiederle spiegazioni sul quel messaggio. E riproporle nuovamente le sue motivazioni.
Ma sembravano parlare due lingue differenti, ognuno intento a farsi capire dall’altro, a imporgli il proprio punto di vista, ad ancorarsi al proprio modo di interpretare le cose ed ad omologarsi a questo, ognuno pronto a aprire bocca, nessuno voleva ascoltare, nessuno voleva capire…
Per di più quella frase, in quanto tautologica in essere, obbligava lo sguardo su altri scenari possibili. Squarciava, alla mente, il quotidiano creatosi durante la loro relazione, lasciando libere vecchie pulsioni incatenate e generandone di nuove.
Pulsioni d’amore e d’odio. Di rivalsa. Di gelosia. Di riscatto. Di vita. Di morte.
Davide rimase dopo un po’ in silenzio.
Quella frase suonava come una minaccia.

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