venerdì 1 maggio 2009

Postumi di Caramello Royale

Si era cucinato un piatto di pasta svogliatamente, più per la fame chimica che lo aveva assalito, che per fisiologico appetito. L’aveva mangiato alla svelta, in piedi, guardando al di là della finestra, verso il prato su cui aveva dormito l’ultima notte. Mancavano ancora un paio d’ore: bastavano per mettere ordine e per fare una doccia. Nonostante non fosse il primo appuntamento, nonostante si frequentassero da un bel po’, nonostante l’avesse già visto in condizioni peggiori e avesse vissuto quella casa in situazioni a dir poco disastrose, nonostante tutto, Stefano aveva voglia di mettere in ordine. E iniziò a farlo con la smaniosa precisione di chi ha ospiti importanti per la cena.
Lo stress rende nervosi, spinge in down il proprio baricentro emozionale, accelera il battito cardiaco, prepara la mano ad un colpo piuttosto che ad una carezza, ma in definitiva rende più efficienti: in poco più di mezz’ora Stefano aveva messo tutto in ordine o quasi, ma così poteva bastare. Era un risultato accettabile per un single lavoratore che vive da solo. Sembrava accogliente, le luci al punto giusto, con quella lampada accesa nell’angolo e la luce esterna filtrata da una tenda arancione. Mise una bottiglia di vino bianco in fresco e si infilò sotto la doccia. Cantaloupe Island risuonava lontana, ma abbastanza ad alto volume perché la sentisse al di là dello scorrere dell’acqua.
Ci sono brani, soprattutto quelli in lingua madre, che ti fagocitano: sei preso nel ripercorrerne il testo, più o meno significativo che sia, ti conducono dove loro vogliono, verso significati immaginati e visualizzati dal cantante. Esistono poi brani da ascoltare in sottofondo, che lasciano spazio per pensieri propri, che accompagnano la genesi dell’idea, il suo crescere, ingrandirsi, il suo rievocare immagini. In quel momento Herbie Hancock suonava con enfasi il suo piano, Cantaloupe era il tema, ma Stefano pensava ad altro o tentava di farlo: le pareti della cabina doccia erano diventate opache per il vapore, i polpastrelli iniziavano a mostrare i segni di imbibizione per la prolungata esposizione all’acqua, Stefano aveva già fatto pipì senza mantenerselo, come sempre gli capitava sotto la doccia, come un bambino che se la fa sotto durante la notte, liberandosi, rilasciando la vescica senza doversi porre il problema di dover centrare il wc. La chiamano enuresi notturna, la diagnosticano e la curano. Lui non aveva di questi problemi, ma sotto la doccia si concedeva sempre questa libertà: enuresi selettiva avrebbe potuto chiamarsi. Quale fosse il significato non lo sapeva, ma in fondo se ne fotteva. La temperatura nella cabina doccia saliva man mano, il tepore lo avvolgeva, ma il suo cervello era come criocongelato., ibernato, rallentato , limitato nell' esecuzione delle minime funzioni: mantenerlo in stazione eretta. Uscì dalla doccia, si asciugò velocemente con un telo che poi gettò nel cesto dei panni sporchi ed andò a sedersi sulla poltrona, nudo, con il cd che continuava ad andare. Avrebbe voluto prepararsi all’incontro, ma non c’era storia. Avrebbe voluto prepararsi un discorso, ma forse avrebbe avuto bisogno di un portaborse che lo facesse per lui. Il problema si sarebbe posto in ogni caso perchè lei non era una di quelle giornaliste qualunque sedute in platea. Lei era…
Il campanello trillò.
Si alzò per guardare dallo spioncino: era lei.
In anticipo.
Le disse di aspettare un momento.
Si infilò una tuta e a torso nudo, con il cuore a mille, andò ad aprire.

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