mercoledì 27 agosto 2008

Caramello Royale | due

La finestra faceva da cornice: la luce aveva impregnato il cielo di un azzurro scintillante, un azzurro che aveva lottato a lungo prima di vincere il blu che per l’intera notte aveva contraddistinto in cielo rendendolo simile ad una lavagna su cui scrivere. O su cui cancellare.
Stefano era seduto in poltrona a fumare una sigaretta arricchita con Caramello Royale e da quella posizione riusciva a vedere in maniera distinta 3 cose: come tre impronte lasciate su un terriccio umido o sulla sabbia.
Ogni percorso lascia tracce alla nostre spalle.
Uno: il telefono che di lì a poco sarebbe squillato…
Due: la tromba, appoggiata su di un pouf sospinto da un suo uso distratto subito dietro al mobiletto su cui, quasi per dimenticanza, Stefano aveva poggiato il telefono.
Tre: la finestra-cornice, il cielo mattutino che aveva sconfitto quello cupo e denso della notte precedente, quando Stefano si era addormentato sul prato.
3 impronte che conducono ad una porta chiusa. Stefano si era preparato la sera prima a lasciarla così come l’aveva trovata, ma non sapeva ancora che, pur volendo resistere, non avrebbe potuto fare a meno di aprirla e di concedere agli altri la verità, di urlarla al mondo, un mondo che si concentrava in due persone, di pronunciarla con la propria bocca, in modo che anche lui se ne rendesse conto, in modo che anche lui prendesse coscienza che in realtà stava forzandosi, razionalizzando il suo malessere, senza riuscire a coglierne le radici più profonde per porvi fine.
La tromba era lì che inviava riflessi ramati alle pareti della stanza e ai suoi occhi, la tromba era lì a ricordagli che Stefano non suonava da un po’. La tromba era lì in rassegnata attesa, come una moglie che stesa nel letto, spalle al proprio compagno, piange sul cuscino perché da tempo non fanno l’amore, perché da tempo quel letto è matrimoniale solo nelle misure, perché da tempo anela il ritorno di un sentimento che non verrà più, sbiadito nella forma e nella sostanza, sbiadito ogni giorno un po’ di più.
Tre impronte, come tre evidenze in un delitto.
Si era da poco svegliato, leggermente stordito per la canna fumata sul prato, leggermente incriccato per l’umidità che durante la notte si era posata su di lui penetrando poco a poco nelle ossa. Si era da poco svegliato, con la testa non ancora in funzione, ma al minimo dell’attivazione possibile, si era preparato un caffè e un’altra canna. Si era seduto sulla poltrona e da lì aveva visto quelle tre cose.
Ma prima che le riconoscesse come tra loro collegate il telefono dovette squillare.
Era lei.
Aveva creduto di reggere quella situazione, la sua voce, le sue pause, il suo modo di dire Stè.
Ed invece crollò rovinosamente come le torri gemelle quel famoso 11 settembre.
Lei qualcosa dovette intuire, ma intelligentemente non domandò.
Si diedero appuntamento per il pomeriggio.

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